La Liberazione
Dalla scorrevole “penna” di Americo Di Fabio, un ricordo della Liberazione dal Nazifascismo.
Verso la metà del mese di maggio 1944, la nostra città rimase quasi deserta.
Nel centro urbano erano rimasti tanti sfollati arrivati da vari comuni del Cassinate e che non intendevano affrontare un altro trasloco in attesa del passaggio del fronte e qualche altra famiglia che, come la mia, si stava organizzando per raggiungere la Certosa di Trisulti che ospitava un migliaio di persone del circondario.
Così, dopo l’ultimo bombardamento subito dalla città il 22 maggio, i miei genitori, con mio fratello Bernardo di 8 anni e mia sorella Maria Antonietta di 4, unitamente al resto della famiglia, si avviarono verso il ponte Porpuro, alla ricerca di un mezzo che li trasportasse a Trisulti.
Io, allora quattordicenne, d’accordo con la famiglia, scelsi di raggiungere, insieme a don Paolo Cipolla, la contrada di Intignano di Alatri, dove una famiglia del luogo ci aveva messo gentilmente a disposizione un locale.
Si decise di partire la mattina presto del lunedì 29 maggio e intanto, le notti del 27 e 28 le avremmo passate nell’alloggio delle suore ospedaliere all’interno dell’ospedale civile.
La prima notte passò tranquillamente, ma la notte tra il sabato e la domenica la trascorremmo in piedi.
Verso le nove di sera un vocio concitato proveniente dalla strada, richiamò la nostra attenzione. Da una finestra dell’Ospedale, con vista su Porta S.Francesco, vedemmo tre o quattro soldati tedeschi che collaboravano con l’autista di un lungo automezzo militare che non riusciva a fare la curva in salita (allora era molto più stretta dell’attuale).
Quando, finalmente, dopo qualche ora, la situazione si sbloccò e decidemmo di andare a dormire, guardando il cielo dalla finestra della stanza, fummo attratti da un razzo illuminante che rischiarava la pianura verso Tecchiena.
Non riuscimmo a capire se era stato lanciato da un aereo o sparato da terra. Con questo dubbio prendemmo sonno dopo mezzanotte e alle 8:00 di lunedì 29 maggio, a piedi e con passo svelto ci incamminammo verso Porta S.Nicola. Nella zona cosiddetta delle “Melegranate” incrociammo una colonna di automezzi tedeschi che si ritiravano verso il Nord in direzione di Fiuggi, e dovemmo attendere l’autorizzazione di un militare per attraversare la strada verso la contrada Valle e proseguire verso Intignano.
La cosa che mi colpì subito e che mi fece paura, dopo essere arrivati a destinazione, fu il sibilo prodotto dai proiettili di un cannone provenienti dall’altro versante dei nostri monti e diretti sul percorso dei tedeschi in ritirata. Gli uomini della famiglia che ci ospitava ci rassicurarono subito dicendo che quando si sente il sibilo il proiettile è già passato in direzione dell’obiettivo che sta lontano. Familiarizzammo subito con tutte le persone della contrada in attesa che il “fronte” passasse al più presto. Alcuni dicevano che truppe inglesi stavano ferme nei pressi del piazzale De Matthaeis a Frosinone e il 31 maggio un anziano del luogo, che era stato in America da giovane e che diceva di saper parlare l’ìnglese, si avventurò attraverso stradine secondarie e tornò la sera dicendo che era stato accolto festosamente dai militari alleati fermi sulla strada per Sora che gli avevano offerto delle sigarette.
La mattina del primo giugno trascorse tranquilla. Ogni tanto un colpo di cannone rompeva il silenzio. Verso l’ora di pranzo tre giovani in borghese con scarpette da ginnastica e a passo svelto entrarono nel piazzale antistante l’abitazione nella quale eravamo ospitati e chiesero, con accento straniero in che direzione era Trisulti.
Fornimmo le indicazioni richieste e ripresero il loro cammino.
Ci lasciarono nel dubbio se fossero militari disertori tedeschi o vedette degli alleati in arrivo. La mattina del 2 giugno arrivò la notizia che un reparto di indiani stanziava presso il Ponte d’Alloggio.
Non si sentiva più il cannone e cominciammo a pensare di poter rientrare nelle nostre case. Verso mezzo giorno, dopo un breve pasto, scendemmo a valle e constatammo che veramente c’erano dei soldati con turbante bianco in testa e tutti con barba lunga e nera intenti a cucinare delle pizzette in fornetti da campo. Erano Indiani che, come altri, sudditi del vasto impero inglese (neozelandesi, australiani ecc.) costituivano buona parte dell’esercito degli Alleati .
Uno di loro ci venne incontro e con fare gentile ci informò che “Misilini” non comandava più. Noi lo ringraziammo e proseguimmo verso la casa di Don Paolo, davanti la chiesa di S. Silvestro.
Trovammo il portone principale aperto, segno che era stata visitata da saccheggiatori. A prima vista non mancava gran che; anzi avevano lasciato una damigianetta da 20 litri di vino iniziata e abbandonata perché forse non di loro gradimento.
Salimmo quindi verso la Piazza a vedere se erano rientrati i miei. Anche la porta della mia abitazione era aperta. La chiusi e andammo a curiosare in giro per la Città. Al trivio vedemmo passare una ronda formata da tre militari. Mi incuriosì il cappello a larghe tese del militare al centro che sicuramente era neozelandese.
Tutti i negozi erano chiusi. Ogni tanto si incrociava un gruppo familiare che rientrava nelle proprie abitazioni.
Per ingannare il tempo feci un giro di ricognizione sui luoghi bombardati della città: Scurano, Colle. Via Sisto Vinciguerra, ecc. Qualcuno mi avvertì che i miei stavano scendendo da Trisulti ma che sarebbero arrivati molto tardi. Decisi quindi di rientrare in casa e di andare a dormire dopo una giornata così densa di emozioni .
Mi svegliarono la mattina successiva i miei fratelli Bernardo e Maria Antonietta. Era il 3 giugno 1944 ed eravamo usciti illesi fra pericoli di una guerra.
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La mia carissima suocera mi ha raccontato che, mentre faceva i lavori quotidiani fuori casa, le truppe alleati le sgridavano di nascondersi perché la situazione era pericolosa “get down get down” ma Mia suocera diceva “ma che “gedown gedown” ho troppi lavori da fare, bambini da accudire “ che donna coraggiosa!