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Febbraio 1962 Agrigento
Festival del folklore in occasione della Sagra del Mandorlo in Fiore quando tutto il territorio compreso tra la città e la collina su cui sorgono i Templi greci diventa una distesa spettacolare di mandorli fioriti.
Una settimana di permanenza per partecipare a spettacoli, sfilate con tanto di carretti siciliani tipicamente addobbati, mostre, incontri con altri gruppi, ricevimenti con le autorità e gli organizzatori con scambi di doni (la nostra conca è arrivata ovunque il gruppo di Alatri sia stato).
L’emozione più grande?
Esibirsi su un palco avendo come sfondo il Tempio della Concordia le cui possenti colonne scanalate
ci “sostenevano” durante i momenti di pausa. Davanti a noi moltissimi spettatori che, entusiasti, applaudivano ad ogni esibizione.
Tanti i gruppi partecipanti, un caleidoscopio di suoni e colori per un inno alla bellezza e all’amicizia.
E poi lo spettacolo nello spettacolo: il tramonto nella Valle quando gli ultimi raggi di sole colorano d’oro i templi che insieme ai mandorli fioriti creano un’atmosfera da sogno.


Allora si era giovani e non ci si rendeva conto di tante cose ma col passar del tempo, si sa, i ricordi riaffiorano più nitidi che mai ed è proprio il ricordo che da’ una dimensione diversa al vissuto.
Quel luogo magico non sarà dimenticato da chi insieme a me ha vissuto quell’esperienza.
Per alcuni giorni, ancora oggi, storia, folklore ed arte convivono in perfetta armonia.
Ci venne raccontata una storia, di un bambino che desiderava tanto vedere la neve ed il suo papà lo condusse su un’altura che dominava la Valle .Era il periodo della fioritura, una distesa di un candore unico. “Ecco” disse il papà al bambino “quella che vedi laggiù è neve”.
Ingenuità e amore, ma il mandorlo aveva creato una nuova leggenda oltre a quella già esistente.

di Anna Maria Fiorletta

Lucio Betilieno Varo
Nacque ad Alatri e visse intorno al II secolo a.C. Insigne personaggio dell’età repubblicana ben noto a tutti gli archeologi e agli studiosi della civiltà dell’antica Roma. Betilieno fu uno dei più benemeriti cittadini di Alatri; essendo ricco per censo e per possessi fu dal Senato eletto due volte Censore, cioè preposto alla cura delle costruzioni cittadine. Nei dieci anni di censorato, durante un lungo periodo di pace dopo la prima guerra punica, arricchì la città di importanti opere pubbliche, così tecnicamente perfette da destare l’ammirazione dell’ingegneria moderna. Una antichissima lapide in latino arcaico testimonia la costruzione di alcune di queste opere: molte vie, il portico che conduce all’Acropoli, una piscina, un serbatoio per la raccolta dell’acqua, sedili pubblici, il macello ecc. Ma l’opera più imponente è senz’altro l’acquedotto, datato come il più antico acquedotto ad alta pressione che la storia romana conosca.

Patrizio Liberio, Prefetto delle Gallie
Patrizio Romano, nacque  ad Alatri e visse tra il V e il VI secolo d.C. Eletto ministro  da Odoacre, re degli Eruli, si mostrò sempre a lui fedelissimo, servendolo e difendendolo con tutte le sue forze. Quando Odoacre fu trucidato da Teodorico, Patrizio Liberio non si assoggettò a quest’ultimo rimanendo ancora fedele al suo re. Questo atteggiamento gli valse l’ammirazione di Teodorico, che gli affidò il delicato compito di procurare la pacificazione tra i Goti e gli Italiani. Durante la reggenza di Amalasunta, precisamente nel 526, fu eletto Prefetto delle Gallie, la quale missione egli assolse così bene che quei popoli, tanto insofferenti e ribelli allo Stato, divennero disciplinati e fedeli. Egli inoltre non trascurò la vita cristiana, a quel tempo fortemente insidiata dalle eresie. In particolare fece convocare un importante Concilio ad Oranges, in occasione dell’inaugurazione di una Basilica. Richiamato a Roma fu prescelto per nuove e importanti mansioni anche dal re Teodato e dall’imperatore Giustiniano, che lo inviò ad Alessandria d’Egitto come Legato imperiale straordinario, proclamandolo “personaggio gloriosissimo”.

Gregorovius  – storico
Ferdinand Gregorovius nacque il 19 gennaio 1821 in Germania, in una città della Prussia orientale. Il 2 ottobre 1852 giunse a Roma dopo aver visitato Venezia, Firenze e altre città dell’Italia settentrionale.

fonte: Gettyimages

Iniziò un periodo di soggiorno inaspettatamente lungo e produttivo, 22 anni, durante i quali visitò con i suoi viaggi l’intera penisola, con particolare attenzione verso la Ciociaria e Alatri. Oltre alla famosa lapide posta nella strada che conduce all’Acropoli, Gregorovius ha dedicato ad Alatri numerose pagine delle sue “Passeggiate Romane”, nelle quali decanta non solo la bellezza estetica dei monumenti ma anche la cordialità degli abitanti e l’intensa vita di scambi commerciali; grazie ai suoi scritti la città di Alatri è stata conosciuta e valorizzata presso ambienti letterari e accademici. Tornato in Germania assunse la fama di grande storico. Morì il 1 maggio 1891 a Monaco di Baviera.

 

S. Quinziano Martire
Nel 529 il patriarca S. Benedetto da Norcia effettuò il viaggio da Subiaco a Monte Cassino. Proprio il Cardinale Schuster nel suo libro, cita che in questo viaggio, S. Benedetto passò ad Alatri per visitare la tomba di S.Quinziano Martire e fu ospitato dall’abbate Servando.Ora ad Alatri resta solo la contrada dell’omonimo Santo in località Chiappitto, ma purtroppo della famosa tomba del Martire non resta nulla.

Patrasso Leonardo (Cardinale)
nacque ad Alatri o Guarcino verso il 1230.Religioso dei Frati Francescani Minori fu canonico della cattedrale di Alatri e nel 1290 Vescovo della medesima città. Il suo nome è ricordato nell’antico “Statuto di Alatri” per l’ardua opera pacificatrice che egli svolse tra le famiglie nobili della che si contendevano il potere religioso. Nel 1300 lo zio Benedetto Caetani, divenuto Papa Bonifacio VIII, lo chiamò a Roma per farlo Cardinale. Morì a Lucca il 7 dicembre 1311.

S.Servando
Nacque ad Alatri nel VI secolo. Fu monaco ed Abate nell’antichissima Badia di Alatri. Visse una vita austera, interamente dedicata al servizio di Dio. Anche il Pontefice S. Gregorio lodò il venerando Abate. Fu carissimo amico di S. Benedetto il quale nel 528, dovendo recarsi a Cassino insieme ai discepoli Mauro e Placido, conobbe per la prima volta l’Abate Servando, del quale gli era già nota la fama di santità. In occasione di quella visita S. Benedetto donò all’Abate una campanella per ripagare l’ospitalità, che ancora oggi è conservata presso il Monastero delle Suore Benedettine di Alatri. Nacque da quel giorno un’ intensa amicizia tra i due, che spinse in più di una occasione l’Abate Servando a recarsi in visita presso il cenobio edificato a Montecassino da San Benedetto. Fu proprio durante una di queste visite che i due furono testimoni, una notte, della visione di una pioggia di luce sfavillante che accompagnava l’ascesa al cielo di Germano, Vescovo di Capua. Si seppe in seguito che quel Santo Vescovo morì proprio la sera della visione. San Servando è festeggiato dal Martirologio della Chiesa il 23 marzo.

 

 

 

 

 

 

In questa raccolta redatta in 5 sintetiche “puntate”, vogliamo ricordare o far conoscere tutte quelle persone, nate o no ad Alatri che,  a vario titolo,  Le hanno dato lustro.
Tratteremo anche “personalità” che per la loro attività, il loro impegno civico, il loro amore per la cultura e le tradizioni  hanno  apportato un valido contributo alla vita civile, culturale e religiosa della nostra città.  In tutto, trattati più o meno approfonditamente sono circa 40 citazioni che speriamo possano arricchire il bagaglio storico-culturale di quanti avranno il piacere di leggerne le gesta o le opere. Noi nel nostro piccolo intendiamo partire da coloro che per la nostra attività rappresentano comunque una fonte importante di ispirazione per la musica, il canto e la prosa  e la cui biografia magari è meno conosciuta…  Buona lettura!!

Gerardo Celebrini

Nacque a Ripi nel 1866 da Domenico e Granelli Adelaide; maestro elementare con la passione della scrittura dialettale e del componimento poetico. Sposato con Maria Dell’Orco aveva 6 figli: Domenico detto “Memmino”, Dante, Galileo, Francesco, Giuseppina e Anita.
Scrisse di lui l’amico Giovanni Ricciotti : “quella verve piacevolissima fece di lui uno dei nostri più apprezzati verseggiatori dialettali del quale qualche furtivo sonetto venne anche registrato negli annali degli studi glottologici in Italia”.
Con il Ricciotti ha composto alcune canzoni ancora molto conosciute ed eseguite negli ambiti delle tradizioni popolari ciociare; infatti nel 1900 (vecchia alatri di flavio fiorletta) in occasione della fiera della Maddalena (che ricorre il 22 luglio) , scrissero  le parole (Celebrini) e la musica (Ricciotti) delle canzoni alatrensi “L’Arca“, “Gli culacchiegli“, “Juccia“, “La cipolla“, “La tesserella“, “La ciammotta“. Ha scritto inoltre i testi di Rusì Rusì con le musiche di Italo Ciarrapica.
Altri componimenti si possono reperire nella pubblicazione “Vecchia Alatri” di Flavio Fiorletta come: Acqua del Cosciano, Gli Cagliozzo, Che Bravo porco (dialogo fra Michele e Geremia), Serenata a Razia e soprattutto un elenco particolareggiato dei “soprannomi” in voga nel 1900 nella città ernica (i soprannomi di alatri dal 1900)

Ha pubblicato nel 1902 la prima edizione del testo per le scuole serali e festive, maschili e femminili, approvato dalla Commissioni Scolastiche Provinciali del Regno:
Le conversazioni dello Zio Menico .
Una  seconda edizione è stata pubblicata nel 1910 (rif. Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia  n.76 -01/04 1910- sezione Industria e commercio – n. d’ordine 53283 del registro generale)

Morì  a 63 anni, nella sua abitazione in Vicolo Cataldi, 4  il 04/02/1930.
L’amico G.Ricciotti fu incaricato a rivolgergli il saluto dell’Amministrazione Comunale con questa eulogìa
In morte del grande amico Gerardo Celebrini.
In nome ed in rappresentanza del generale Turano Commissario Prefettizio, chiamato oggi altrove per altissimi doveri di ufficio, mando alla memoria del carissimo maestro, il saluto e reverente e devoto della cittadinanza tutta e dell’Amministrazione Comunale che con deliberazione odierna ha decretato a lui un posto distinto nel Cimitero. Gerardo Celebrini fu maestro integerrimo, probo, attaccato indefessamente al dovere, di null’altro conscio e preoccupato che dell’educazione dei piccoli nei quali curò con particolare zelo il culto della religione e della Patria.
Fu maestro a tutti i maestri che io qui veda lacrimare attorno alla sua salma e fu modello a tutti per modestia, per devozione alle istituzioni, per integrità di vita.
Fu ammirata in lui un’educazione superiore, e quella verve piacevolissima fece di lui uno dei nostri più apprezzati verseggiatori dialettali del quale qualche furtivo sonetto venne anche registrato negli annali degli studi glottologici in Italia.
Fu soprattutto un cittadino di grande onestà e di severi costumi per cui tutti rimpiangono la perdita amara ed irreparabile.
Sia pace a l’anima sua. Lux aeterna luceat eis

 

Il Premio Antiche Piagge fu istituito grazie ad una intuizione di Lucio Lucchetti socio della locale Pro Loco e in accordo con  l’Amministrazione Comunale,  con lo scopo di insignire personaggi della vita pubblica, sociale e culturale della nostra città ma anche nazionali, che si sono distinte, ognuna nel proprio ambito di attività, per le finalità socio-culturali.  In questo contesto si è inserito, degnamente anche il nostro gruppo folclorico per le molteplici ed intense attività nell’ambito della promozione delle tradizioni popolari.
Di seguito l’articolo a firma di Carlo Capone della redazione del quotidiano “Ciociaria Oggi” che scriveva:

“Aver mantenuto vive le tradizioni di Alatri,  partecipando alle più importanti manifestazioni folkloristiche internazionali,  ottenendo nel 1976 il Premio Europeo per l’arte popolare dalla Fondazione Toepfer di Amburgo come miglior gruppo di arte e tradizioni popolari”.

Con questa motivazione è stato conferito al Gruppo Folk “Aria di Casa Nostra” il premio Antiche Piagge_ Giuseppe Fiorletta per l’anno 2007.
Presenti per l’associazione alatrense parte del gruppo che,  ormai da diversi anni,  si distingue in vari festival in giro per il mondo, portando sempre altissimo il nome della città di Alatri.

La cerimonia si è svolta il 19/01/2008 presso la Chiesa di San Silvestro, nell’antico quartiere Piagge.
A rappresentare l’amministrazione gli assessori Domenico Sbaraglia e Danila Fontana, accompagnati dal presidente della Pro Loco Sandro Vinci.
A moderare Mauro Marzolini, che proprio all’inizio della manifestazione ha voluto ricordare alcuni momenti della vita del compianto Peppinuccio Fiorletta, raccolti poi dalle testimonianze di vari amici,  che hanno voluto ricordare vari aneddoti della vita di uomo, di giornalista, e di grande amante della montagna di Fiorletta.
Riconosciuta da tutti la sua grande professionalità nella sua attività trentennale di giornalista, e la grande passione con la quale affrontava qualsiasi cosa.
Una persona che non scendeva a compromessi – ricorda uno degli amici presenti – e  che nella sua vita ha sempre saputo mantenere alti i suoi valori legati alla famiglia, al lavoro e all’amicizia. Come dimenticare poi il suo grande amore per la sua Alatri, e in particolare per il quartiere Piagge. La sua figura,  a distanza di tanti anni, continua ad essere presente tra di noi”.
A rappresentare la famiglia del caro Peppinuccio, la moglie, la signora Caterina Flori e il figlio,  Carlo Fiorletta.

Ricordiamo che questa iniziativa è nata da un’idea di Lucio Lucchetti, presente alla premiazione,  e della Pro Loco,  che nel 2004, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale, diedero il via alla manifestazione culturale “Antiche Piagge”, con l’intento di evocare tradizioni storiche e culturali della suggestiva zona sottostante l’Acropoli.
Nell’ambito della manifestazione, poi, a partire dal 2005, fu inserito anche il premio giornalistico dedicato a Giuseppe Fiorletta, meglio noto come Peppinuccio, originario proprio  dell’antico quartiere della città e corrispondente per moltissimi anni per il quotidiano ‘Il Tempo’.
Un’occasione importante, che è ormai riconosciuta come uno degli appuntamenti principe della vita culturale di una città, che dimostra anno dopo anno, di ricordare con immenso piacere la figura di un amico di tutti.

Nel 2005, furono insigniti del Premio Fiorletta, noti alatrensi che si sono distinti nel campo dell’artigianato, dell’industria, della cultura, della musica e della medicina. I premi andarono rispettivamente all’Armeria Fanfarillo, alle officine meccaniche Mazzocchia, al professore Giovanni Minnucci, al maestro Massimo Manzi e al dottor Orazio Ferro. Nel 2006, invece, il premio fu assegnato simbolicamente a tutto il quartiere Piagge, fedele custode di tradizioni storiche, culturali e popolari della città di Alatri.

 

 

Oggi, ad Alatri, si celebra la traslazione delle reliquie di San Sisto I da Roma ad Alatri.
Quest’anno, per la prima volta nella storia della nostra città, avrà luogo la rievocazione storica di ciò che accadde, secondo la narrazione Historica, l’11 di gennaio del 1132.

Mia nonna Iolanda, la sera del 10 gennaio, era solita raccontarmi “la venuta di San Sisto” colorando la narrazione di particolari come quelli legati a “chigli zic sole che chigli ommini fori d ‘pòrta, se stavan a tòll pe r’scallass ” alle prime ore del pomeriggio, quando una mula, improvvisamente, varcò le mura di Alatri.
Si tratta di una storia incredibile quella relativa all’arrivo delle sacre reliquie di San Sisto ad Alatri. Una storia che da sempre i nostri nonni ci tramandano con dovizia di particolari quasi a voler rafforzare un privilegio di cui siamo chiamati ad esserne eredi.
Mentre mia nonna proseguiva nel racconto, la mia fantasia cercava di immaginare la scena della gente che in quel giorno si riversava per le strade e i vicoli di Alatri: accorreva meravigliata a contemplare qualcosa di incredibile, sotto gli occhi stupiti di chi, lentamente, iniziava a capire che un giorno normale stava per trasformarsi in una data storica che avrebbe segnato per sempre, la vita e l’identità del nostro popolo e perchè no, anche quello degli Alifani a cui le reliquie era destinate.

Ad Alatri, mancava un “patrono” e pur essendo molte le possibilità di individuarne uno tra la schiera dei santi, è accaduto che questo arrivasse inaspettato con un nome sconosciuto, per diventarne il simbolo di coesione e di fratellanza.

Rivivere oggi quel pomeriggio dell’11 gennaio di 887 anni fa, sarà un momento prezioso, perché ci porterà a celebrare non solo la nostra identità e le nostre radici ma ci ricorderà, soprattutto, che Dio sa trovare percorsi incredibili e riportarci a casa anche quando i nostri progetti sono diversi e le nostre strade sembrano dirigersi altrove.
Siamo figli di una terra pazzesca, che ha assistito ad eventi incredibili e bizzarri, come quelli di una mula testarda che tuttavia ci ha insegnato il sapore buono di una storia meravigliosa che mai nessun futuro, nemmeno il più avaro, saprà farci dimenticare.

Gabriele Ritarossi

Dal libro “Vecchia Alatri”, pubblicazione fortunata del nostro Sor Flavio riprendiamo un breve appunto storico.

…Nel 1900 il regolamento di Polizia urbana faceva divieto ai veicoli di entrare in città dopo il tramonto del sole: per cui la maggior parte dei venditori ambulanti, che tra l’altro dovevano coprire rispettabili distanze, quasi sempre erano costretti a bivaccare in località la Donna, pur impiegando tutta la buona volontà per giungere in tempo, anche ad evitare nel buio spiacevoli incontri con tipi affatto raccomandabili. Certamente dopo il lungo viaggio l’appetito non mancava e non mancava nemmeno l’iniziativa di persone di allestire, ed ogni anno sempre meglio, baracche ove si potessero consumare, per la circostanza, appetitosi “pullastri, puparoi e belle ciammotte” con larga mescita di vero vino casareccio. E siccome il canto ed il suono non possono mancare in certe circostanze, ecco venir oggi fuori l’estro poetico e umoristico musicale di Giovanni Ricciotti e di Gerardo Celebrini, due animatori delle tante iniziative all’epoca. A quanto si apprende dai vecchi, la serie fortunata di questa festa, diventata tradizione per Alatri, si affievolì quando incominciò il concerto degli obici e delle mitragliatrici della prima guerra mondiale che impegnò tutti alla difesa del territorio nazionale.

Il Natale a casa mia era come un pendolo che oscilla incessantemente tra un sano e genuino spirito natalizio e un “l’ faciam purché s’ tè da fa’”, passando per l’intervallo fugace, e per di più illusorio, della speranza di non svuotare il dindarolo come ogni anno alla tombolata con gli zii.
La preparazione degli addobbi, il sentirsi ogni anno più grande perché mancava sempre meno a riuscire ad arrivare a mettere il puntale sull’albero, quell’inspiegabile libidine che si provava nel premere il pallino rosso sul telecomando che, come per magia, faceva accendere tutte le lucine della casa, quella puzza di bruciato perché qualche lucina si era surriscaldata troppo e aveva mandato a fuoco il muschio nel presepe, le urla della nonna che inveiva contro il nonno con un sonoro “si più uttr’ di issi”…

Il giorno più bello per noi bambini era senza dubbio quello della Vigilia.
Il suono degli zampognari tra i vicoli di Alatri rendeva meno traumatica la sveglia di buon mattino perché tua madre, armata di parannanza e scopettone, ti veniva a svegliare per farti mettere in ordine la camera, ché la sera c’era gente.
Lo scambio dei regali, la recita della poesia e le mille lire sotto il piatto (che poi arrotondavi con qualche altro spiccio concesso dal nonno sottobanco), la saraca condita, il primo panettone (primo di una lunga ed interminabile serie) e poi tutti di corsa a messa, con l’ansia che Babbo Natale arrivasse prima del tuo rientro.

Se la mattina del 25, sotto l’albero, ti aspettava più di qualche sorpresa (perché Babbo Natale le tue letterine evidentemente le perdeva ogni anno), ciò che non era una sorpresa, puntuale come un treno in Giappone, era tua nonna che, alle sette di mattina, suonava alla porta con un piatto fumante di frittelle fatte con la pastella avanzata delle particelle fritte destinate al pranzo.

Dopo ore ed ore di devota preparazione, eccolo: il pranzo di Natale!

Quello che sai quando ti siedi, ma nessuno sa quando, se, ti alzerai da tavola; quel pranzo che ogni anno “so’ fatt’ propria du’ cosette” e poi appena arrivi la nonna ti mette davanti le già citate particelle di cime e baccalà per preparare la mandibola e la stracciatella col brodo di gallina per riscaldare lo stomaco. Ma non è festa senza timballo, che per l’occasione si è trasformato nell’Empire State Building delle leccornie. Ma du maccaruni co zic sughitt “legger legger” ‘n ci gli mitti?! Ma si, magna che va p l’anima dei morti!
E poi: il lesso della gallina già nominata prima (purché è puccat ittalla), l’arrosto misto, le patate, i broccoletti che “sgrassano”…dopotutto, chell che ‘n ‘ntorza ‘ngrassa!

Chi ce l’ha fatta arriva al dolce: il panpepato, gli struffoli, i quadrucci, i tartalicchi, le ciambelline ruzze azzuppate al vino di nonno, la ratafia casereccia, la genziana di zio, il limoncino del vicino, la tombolata con le lenticchie sulle cartelle, il panettone che ha portato la zia, quel comico di tuo cugino che grida “Ambo!” ed è uscito solo un numero, le lenticchie che si spostano in continuazione dalle caselle e qualcuno che chiede se il 23 è uscito, “Undici! Zeppetti”, le storie e le leggende della gioventù, di quando c’era la guerra e di quando si stava lontani da casa per il servizio di leva, quelle storie che ormai sapevamo tutti a memoria, ma che pagheremmo per sentirle ancora, quelle storie e quei ricordi che sono un modo per incontrarsi, per riviversi, per non perdersi e che a Natale, puntuali come lo era la nonna con le frittelle, tornano a galla e ti aspettano, a braccia conserte e con il piede martellante, sotto l’albero, tra panettoni e cesti regalo.

 

Giulia D’Alatri

Cosi scriveva molti anni fa il nostro Sor Flavio; una riflessione che se pur datata potrebbe risultare attuale ai cultori delle tradizioni popolari, e come ricordava sempre: nel folklore e nella danza c’è l’animo di un popolo:

“Oggi il folklore ed il ballo italiano sono come li descrisse il piemontese Vajra «i grandi decaduti”: questa l’affermazione che si riscontra nel’ importante saggio sulla danza tradizionale.
ln verità non si può far storia delle religioni, della musica, del teatro, delle tradizioni popolari senza tener conto del folklore in genere e della danza in particolare.

Se noi consideriamo la condizione e la funzione della danza nella società italiana e la confrontiamo con la posizione che occupava e la considerazione in cui era tenuta nei passati secoli, dobbiamo senza meno riconoscere quel che asseriva il Vajra nel 1875, epoca in cui i veglioni carnevaleschi costituivano ancora un avvenimento popolare di grandissimo rilievo; epoca in cui non c’era manifestazione, non c’erano nozze che non terminassero con il tradizionale ballo: oggi tutto sembra esaurirsi e con rammarico si assiste alla discesa di questi valori coreutici e folcloristici.
Quando poi al posto occupato dalla danza nel folclore, anche se ormai in molte regioni non occupa più la posizione di grande rilievo che aveva un tempo, essa è pur sempre legata alle più pure espressioni tradizionali sia per il ciclo della vita umana, sia, e principalmente, per i lavori agricoli.

Ma è il caso di domandarci cosa sia stato fatto in Italia nora di veramente serio per una conoscenza storico-critica, basata su documenti, registrazioni di canti e di musiche per danze, affidate ai modernissimi mezzi sonoro-acustici e se anche per tutto quanto concerne il folklore contemporaneo?
Poco, pochissimo, eccezion fatta per qualche e registrazione di motivi ristretti ad una sparuta cerchia di paesi quando invece l’Italia, dalla Sicilia alla Sardegna, dalla Lombardia alla Ciociaria, alla Calabria è tutto un campo fertile per riportare alla luce motivi musicali di danze e cori come mezzo idoneo, il più adatto all’affermazione dei valori intrinseci del nostro folclore.
Si sente dire… “che bei costumi…che bei canti..che belle danze”; si vedono sorridere gli occhi per la gioia, quando inizia uno spettacolo di folclore ma più di questo nulla, mai nulla.

Eppure un grande figlio della Ciociaria, Anton Giulio Bragaglia, ha speso tempo prezioso per dedicarsi ad uno studio particolareggiato del folclore e della danza <Danze popolari italiane>  per offrircelo a ricordo di tempi non superati ma rimpianti dalla maggioranza.

Questo libro è l’immagine di uno studio profondo, condotto con un rigore critico: una ricca messe di dati, di notizie, frutto di lunghe, pazienti ed utili ricerche.
In Italia e quindi anche in Ciociaria, la zona che maggiormente ci interessa ed alla quale tanto teniamo, occorre intraprende seriamente studi sul nostro folclore e sulle nostre danze.
Occorre riportarle in “auge” per offrirle ai tanti turisti che visitano le nostre zone come il miglior ricordo di questa nostra terra ciociara ed in questo sforzo non sia inutile ricordare che l’Italia, che oggi è invasa dalle danze straniere, dal valzer alla polka, dal tango al rock and roll ora al madison, nei secoli ha insegnato il ballo a tutta Europa.

Non sarebbe male se tutti gli intenditori prendessero l’iniziativa di compiere studi in tal senso, di far incidere appositi dischi, riportare a nuovo i nostri canti dell’aia, dei campi formare gruppi di danzatori, di cantori del folclore. Saranno i responsabili e gli esperti a sancire queste forme di rieducazione popolare attraverso ampi e sereni dibattiti. Quanto verrà fatto per promuovere sul piano pratico lo studio della danza popolare italiana, ed in particolar modo ciociara, costituirà un contributo prezioso per la messa in valore di una delle espressioni più spiritualistiche ed esteticamente felici delle geniali qualità artistiche del popolo italiano. Abbiamo visto gruppi folcloristici esteri organizzati a spese dello Stato: parlo dei gruppi iugoslavi, polacchi, francesi, cecoslovacchi, spagnoli: non ne abbiamo incontrati in tal senso italiani. E’ davvero una lacuna riprovevole.

Il Gruppo Folcloristico di Alatri, che continuamente visita città italiane ed estere, sa il valore della bellezza della danza e del folclore italiano, principalmente ciociaro, dei canti e delle danze ciociari, perche sono gli applausi incondizionati, i premi conseguiti, i rinnovati inviti che testimoniano quanta simpatia in ogni contrada di Italia esista per la nostra Ciociaria: il nostro folclore, così come dicono i giornali, è addirittura “signorile”.
E noi, lungi dai ronzii di questa dannata vita moderna, ci dovremmo sentire invitati ad un ritorno alla serenità, alla pace, ai nostri campi, cosi come accadeva anticamente quando tutte le mamme, attorno al focolare, ove crepitando si consumava un vecchio ceppo, raccontavano le favole che ci facevano più buoni, più sereni fino a farci cantare, a farci danzare spensieratamente.
Tempi scomparsi, ma che potrebbero tornare con la buona volontà di tutti, se davvero ci sentissimo custodi delle nostre belle e pure tradizioni popolari una volta ritrovatele: e ciò principalmente per la valorizzazione di questa nostra troppo depressa, ma tanto amata terra ciociara.

 “Sor” Flavio Fiorletta

16/07/14 – 04/10/2007