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Nell’isola montana di Pratelle, situata a ridosso dell’Abruzzo, ogni terza domenica di luglio si tiene un evento straordinario..

Americo Di Fabio, assiduo collaboratore del nostro blog, ha deciso di condividere con noi un nuovo episodio risalente agli anni della guerra..

Verso la metà del mese di maggio 1944, la nostra città rimase quasi deserta.
Nel centro urbano erano rimasti tanti sfollati arrivati da vari comuni del Cassinate e che non..

Grazie alla disponibilità di Americo Di Fabio un racconto della Giornata di San Giuseppe del lontano 1942. La sua ferrea memoria ci riporta a momenti di vita vissuta, con il suo scritto chiaro e scorrevole.

Ad Alatri, nascosto tra i monti, c’era (e c’è ancora)..

L’ UNESCO dichiarò il 22 agosto Giornata Mondiale del Folklore , data scelta in ricordo di quel 22 agosto 1864, quando l’archeologo britannico William J. Thoms ha pubblicato sulla rivista londinese Atheneum , una lettera in cui ha utilizzato per la prima volta il termine “folklore”.
Nel 1878 uno dei fondatori , a Londra, della “Folklore Society” (FLS – società dedicata allo studio della cultura tradizionale in tutte le sue forme,  è stata una delle prime organizzazioni istituite al mondo per lo studio del folklore), definisce il folklore come la scienza che si occupa della sopravvivenza delle credenze e delle abitudini arcaiche nei tempi moderni

La parola folklore etimologicamente deriva da “folk” (popolo, gente,razza) e da “lore” (sapere,scienza) letteralmente, quindi, folklore significa “sapere popolare”.
Nel linguaggio corrente, per folklore intendiamo lo studio delle tradizioni popolari o l’insieme delle svariate manifestazioni, perlopiù tramandate oralmente, della cultura popolare: usi e costumi, musica, canto, danza, miti, fiabe e leggende, filastrocche, proverbi etc. , tratti che permettono  di distinguere una cultura dall’altra.

 

Ci sono storie lontane che possono aiutare a scaldare il cuore…niente di edificante, né di altisonante, una vicenda semplice e autentica che improntò di sé la vita di coloro che la vissero e che, prima di portarla nella tomba,  l’hanno tante volte raccontata a chi oggi tenta di  ricostruirla

Era un giorno di un freddo febbraio. Il febbraio di una guerra che si stava facendo sempre più aspra e dolorosa. Era il 1944, l’Italia era da mesi allo sbando: era caduto il fascismo, erano sbarcate le truppe anglo-americane in Sicilia, il Paese si era arreso ed aveva firmato l’Armistizio con gli alleati in lotta contro la Germania nazista. La Campagna di Italia era ormai in atto e tra i bersagli dei bombardamenti americani ci sarebbe stata a breve anche l’antica abbazia di Montecassino.

Le truppe avanzavano minacciosamente e la piana del cassinate vedeva uno scontro bellico che dall’alto dei paesi limitrofi si palesava di notte come una lunga linea di fuoco. Tutta la zona interna era presidiata dai tedeschi, ormai nostri nemici, la cui tattica militare prevedeva lo sgombero immediato con lo sfollamento della popolazione civile verso altri paesi del Lazio più lontani dal fronte. In fretta e furia, e nel caos più totale, centinaia e centinaia di uomini, donne e bambini dovettero abbandonare il luogo natìo per essere trasportati altrove a bordo dei camion tedeschi.

Tra gli sfollati di Roccasecca, un ridente paesello a poche miglia da Cassino dove ancora oggi si ergono i resti del vetusto castello di San Tommaso d’Aquino, c’era una coppia poco più che trentenne con la loro bambina di neanche 7 anni. Ammassati e sballottati insieme a parenti e compaesani, percorsero per ore la strada Casilina diretti verso Ferentino. Uno sbarramento impedì al mezzo di proseguire verso la meta e fu costretto ad indietreggiare.
Sotto la pioggia battente imboccò vie sempre più interne, giungendo infine ai piedi di Alatri.

Era l’imbrunire e il paese sconosciuto apparve loro circondato da alti monti dalle cime innevate. Gelide folate di vento avevano spazzato il cielo e silenziato l’eco delle bombe e il fragore delle armi. Il camion si inerpicò su per i tornanti tortuosi e costeggiando possenti mura grigie, raggiunse il borgo arroccato intorno ad una grande chiesa il cui campanile dominava l’ampia vallata.

Il mezzo si inoltrò rumorosamente per una lunga strada stretta su cui si aprivano case e botteghe ormai sprangate e dove un imponente palazzo medievale segnava ad un certo punto il congiungimento di un’altra strada più stretta che proseguiva in discesa. Il camion oltrepassò il crocevia e proseguì dritto fino a svoltare per una piazzetta su cui si affacciava un enorme caseggiato. Gli sfollati furono fatti scendere perentoriamente dai tedeschi e incalzati verso l’interno del palazzo sul cui portone apparvero delle suore. Nella vasta sala d’ingresso erano stati collocati dei banchi di chiesa su cui sistemarsi e trascorrere la prima di chissà quante notti.

Qualche abitante del luogo era intanto giunto incuriosito dal passaggio del camion e nel parapiglia dello scarico di quella povera gente, si era intrufolato nell’androne del convento. Tra questi anche un giovane bottegaio che gestiva un negozietto di intimo insieme alla matrigna, proprio di fronte al crocevia di strade nell’antico borgo. Il suo sguardo fu catturato dalla coppia con la bambina, spauriti più che mai dalla triste novità sopraggiunta nelle loro vite. Si avvicinò loro e si presentò. I due uomini si scambiarono delle informazioni, mentre la bimba si era addormentata tra le braccia della madre seduta in un angolo del banco. Il marito si avvicinò alla moglie e le sussurrò qualcosa all’orecchio. Lì per lì la donna scosse ostinatamente il capo, ma poi aprì le braccia arresa. Il bottegaio prese la bambina stremata, la avvolse nel suo ampio pastrano e la portò via con sé.

Quella notte trascorse lenta e tormentata per i due genitori. A nulla valsero le rassicurazioni del marito che si era sentito di fidarsi di quell’uomo del posto che aveva offerto cibo e un letto per la loro bambina. “Cosa abbiamo fatto!?” continuava a ripetere la donna in lacrime. “Abbiamo dato la nostra figliola al primo venuto!”.

Alle prime luci dell’alba, sopraffatti dal senso di colpa, la coppia si mise alla ricerca della casa dell’uomo e, percorsi a lungo i vicoli bui, la trovarono proprio lì dove lui aveva detto prima di allontanarsi, non lontano dalla piazza principale del paese. Bussarono ripetutamente incuranti del gelido vento che sferzava i loro volti sconvolti. L’uomo aprì e li condusse nella stanza dove aveva messo a dormire la bambina insieme alla sua figlioletta. La trovarono lì, con la moglie dell’uomo che la stava pettinando e infiocchettando, meravigliata della sua bellezza. 

Lacrime, sorrisi e abbracci suggellarono quel momento.

Fu così che Bernardino e Rosina, Satore e Amelia avrebbero affrontato il resto della guerra insieme, aiutandosi a vicenda e condividendo momenti di vita più o meno lunga, più o meno felice con le loro figliole.

di Brunella Santurro
Immagine tratta da www.editorepress.it

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