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E’ estate.

Per chi, come me, è cresciuto nel gruppo folkloristico, l’estate rappresenta un richiamo inconfondibile. E’ in estate infatti che si concentra la stragrande maggioranza delle attività del gruppo.
E già dalla primavera, cominciano febbrili le telefonate, i contatti,  le riunioni. Dove si va quest’estate? Troviamo qualche festival? Il Festival di Alatri è confermato? E la sfilata a Ferragosto?
E si cominciano a riallacciare i contatti con le varie associazioni sparse in giro per l’Europa e per il Mondo, si cercano i festival migliori, si sondano presenze e si contano le adesioni.
La parte più bella di un’uscita è senza dubbio l’organizzazione. Cercare l’itinerario migliore, pianificare eventuali soste, assicurarsi che tutto fili liscio. Far spostare 40 persone,  fidatevi non è affatto cosa facile, ci vogliono dei mesi per organizzarsi. L’uscita va pensata, costruita pian piano, vanno ascoltati tutti i componenti e tutto deve essere organizzato nei minimi dettagli.  Per chi, come me, è cresciuto nel gruppo folkloristico e vive e lavora a centinaia di chilometri di distanza, questa situazione è ancora più sentita. Quando con amici e colleghi si inizia a pensare alle ferie, si prenotano viaggi e si cerca di evadere dalla routine della città e dal lavoro, resta sempre in mente una domanda.

Ma il gruppo, cosa fa?

E nonostante tutto, nonostante la lontananza, nonostante la vita ci abbia portato lontani e abbia parzialmente diviso le nostre strade, “l’uscita” resta sempre la prima opzione percorribile.
Perché,  quando è la passione ad animare un progetto, quando si deve la propria adolescenza e il proprio esser diventato adulti ad una causa, quel sottile filo rosso che ci lega all’associazione non si spezzerà mai, dovesse anche essere lungo 800 km.

E anche quest’anno, anche questa volta, per il mio quattordicesimo anno di fila, il gruppo cosa fa?

Per me la risposta non è mai stata più chiara.

 

Daniele Gussati

Comunicazione da parte del nostro Presidente: invito in una determinata città, per un dato evento.
Una volta verificata e confermata la disponibilità seguono le prove: balli, canti, scenette, sfilate.
Qualche giorno prima della partenza la costumista ci comunica i vestiti da indossare a seconda delle occasioni. Quindi prepari la valigia e controlli mille volte che hai messo tutto, soprattutto le ciocie: fondamentali.
Arriva il giorno tanto atteso; ci si incontra al solito posto: alcuni puntualissimi, altri in perenne ritardo.
E qui le situazioni che si prospettano sono diverse.

Se si viaggia con l’autobus ed è mattina proviamo a recuperare qualche minuto di sonno; se c’è Mirko invece,  ciò non è possibile perché vive con l’organetto “in spalla” ed è capace di suonare per tutto il viaggio anche quando questo è lungo, mooolto lungo!
Ricordo perfettamente la trasferta al Festival dei Trulli di Alberobello:

Siamo partiti alle 7 la mattina e quando siamo arrivati nel tardo pomeriggio, Mirko stava ancora suonando: e si può immaginare facilmente come abbiamo reagito.

Se si viaggia con l’autobus e partiamo di notte proviamo a dormire per affrontare la giornata successiva. Insomma queste situazioni non sono poi così diverse, pensandoci. Ma posso negare l’evidenza ed assicurarvi che non siamo dormiglioni!

Se invece dobbiamo partire con le nostre macchine, la situazione è diversa a seconda delle compagnie: con alcuni chiacchieri del più e del meno, con altri potresti azzardarti ad aprire un dibattito politico, con altri ascolti solo musica (anche l’organetto, sì) e con altri dormi. Ma no… sto scherzando… questo succede al ritorno.

Comunque, una volta arrivati a destinazione la prima cosa da fare è prendere il caffè e non importa se è tardi, se ci aspettano, se siamo sperduti sui monti: il caffè ha la priorità con ovvio borbottio del nostro Presidente….

Adesso inizia il bello: ci si deve cambiare. Di solito noi ragazze entriamo per prime, ci fanno credere che il motivo sia la “privacy”, in realtà lo sappiamo tutti che ci mettiamo più tempo; permettetemi di precisare che non è perché siamo lente ma perché il nostro vestito è composto da più pezzi e ci vuole il tempo che ci vuole. Come dimostra il fatto che alla fine, quando ci ri-cambiamo lo facciamo tutti insieme e noi comunque finiamo per ultime. Ma non è questo ciò di cui voglio parlare.

Una volta pronti ci immergiamo completamente nel folklore: le ragazze prendono le conche e i ragazzi le aspettano porgendo la mano, per formare la fila e iniziare lo spettacolo. Ci piace essere ordinati durante le sfilate e ci sono delle disposizioni precise, che possono variare a seconda del posto e del numero di persone; in generale seguiamo quest’ordine: Labaro, ragazze con i conconi, orchestra, coppie e l’immancabile coppia sotto l’ombrello. Balliamo, cantiamo, ci divertiamo, le persone sono contente e noi più di loro. Amiamo quello che facciamo e non ci interessa se poi ci faranno male i piedi, se abbiamo preso troppo freddo, se durante la giornata abbiamo litigato e ci sono state incomprensioni perché alla fine il risultato è sempre lo stesso: essere orgogliosi e soddisfatti di portare in giro per l’Italia ed il mondo il nome di Alatri e della Ciociaria, delle nostre tradizioni; camminare, come dico sempre, “ciocie ai piedi e testa alta”; sentirsi parte di una grande famiglia, stare a contatto con persone molto diverse da te che possono piacerti o no,  ma devi ammettere che ti lasciano qualcosa. Probabilmente questo è l’obiettivo che Aria di Casa Nostra persegue inconsciamente, al proprio interno: prima dello scambio con altre culture ed altre tradizioni, c’è lo scambio tra di noi e significa che ognuno lascia (e riceve) un pezzetto di sé ad (e da) ogni altro membro del gruppo.

Il momento che più mi coinvolge di ogni trasferta,  è il ritorno: sappiamo tutti che appena dalla curva spunta Alatri bisogna intonare l’inno, come da tradizione. E così si concludono queste fantastiche giornate, ancora con un momento di condivisione, di folklore, di passione e di orgoglio: Evviva Alatri, sei un vero incanto!

Carla Scarsella