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Tutto ha inizio con l’invito per una rappresentanza al Festival di Berango – in Spagna (per il 75° anniversario del gruppo locale) – e noi, orgogliosi di portare alto il nome del nostro gruppo, accettiamo ben volentieri di partire.
Con Giulia e Alessio “Fox” organizziamo ogni singola cosa (n’ sem’ missi ‘n frullòra): l’itinerario, il viaggio, il vestito giusto per l’occasione, i doni da offrire… Mille complessi, tanta ansia, ma finalmente è tutto pronto: SI PARTEEE!

Prendiamo l’aereo lasciando ogni ansia e problema al di fuori, tanta è l’eccitazione di arrivare a destinazione.
…Ma quale destinazione se una volta arrivati a Lisbona, ci cancellano il volo per Bilbao? E ora cosa facciamo? Le valigie con i vestiti del gruppo? Cosa dire agli organizzatori del festival?
Basta poco per risolvere tutto: avvisiamo Iñaki che ci rassicura di non aver problemi e ci aspetterà domani.
Trascorriamo il nostro primo giorno di viaggio in un hotel di Lisbona.
Altro aereo, altri scali, ma finalmente arriviamo a destinazione… EVVAIII!

Ci accolgono in aeroporto, pranziamo, ci sistemiamo in una casina tutta per noi. Un’ospitalità impeccabile: ci siamo sentiti davvero a casa.
Alle nove di sera è pronta la cena e… che la prima serata abbia inizio!
Un’esperienza bellissima che ci ha portato a conoscere nuove persone, nuovi gruppi folkloristici di altre nazionalità. Un mare di persone che, a fine serata, grazie a degli eccellenti maestri ciociari in trasferta, alzavano i calici brindando e intonando “ARRIZZA, ARRIZZA, ARRIZZA… ALLA SALUTE NOSTRA”.

Il giorno successivo è quello dedicato allo scambio dei doni, la curiosità di conoscere il vestito, gli strumenti e le particolarità degli altri gruppi è tanta.
Il pomeriggio, con i nostri amici polacchi, viene dedicato al turismo, visitando alcuni piccoli paesini nei dintorni, la spiaggia, i musei…
Ultima sera, ultimo pacharan (una bevanda tipica che mi ha conquistata!) e la promessa di ritrovarci di nuovo qui tra qualche anno, condividendo l’esperienza con tutti gli altri ragazzi del nostro gruppo.

Arriva la mattina della partenza. Cercando di nascondere la tristezza e la nostaglia, ci dirigiamo a fare colazione: l’ultima in compagnia di questa bella gente.
Con il cuore in gola bisogna dire addio a tutti i nuovi amici.

Noi maliconici, Iñaki emozionato, ma tutti ci regalano una sorpresa finale: un applauso che riempie la sala.
Un emozionante epilogo per questa bella esperienza che ha lasciato in ognuno di noi qualcosa di magico, con un pizzico di malinconia.
Perché la malinconia? Perché lì ci siamo sentiti a casa, lì abbiamo lasciato un pezzo di cuore.

 

Martina Ciavardini

Chiunque abbia avuto modo di assistere ad una nostra performance, avrà sicuramente notato quei baldi giovanotti che con i loro strumenti fanno da motore alle nostre ciocie. Ebbene sì, senza un organetto il gruppo Aria di Casa Nostra non sarebbe lo stesso.

Ma vediamo come nasce l’Organetto:

Accordeon di C. Demian

Il primo strumento a mantice di cui si ha notizia risale al 1829, anno in cui il costruttore di organi e pianoforti Cyrillus Demian ottiene, a Vienna, un regio brevetto per un originale organetto in grado di eseguire fino a quattro accordi. Lo strumento, che assume il nome di Accordeon, è dotato di un mantice azionato dalla mano sinistra, di una cassettina contenete le ance libere (riprese dal “Cheng”, un antico strumento cinese inventato ben 4500 anni fa), e di una tastiera con cinque tasti azionati dalla mano destra. Il sistema di ance utilizzate nell’accordeon è di tipo bitonico, cioè in grado di produrre determinati suoni solo aprendo il mantice e altri suoni solo chiudendolo; a uno stesso tasto possono così corrispondere due suoni differenti a seconda della direzione della corrente d’aria nel mantice.

L’accordeon di C. Demian riscuote successo ed interesse nelle varie capitali europee, ed è proprio a partire dal prototipo austriaco che i diversi artigiani sperimentano ed inventano nuovi modelli: nel 1831, a Parigi, Pichenot pubblica il primo metodo per Accordeon; nel 1840 aprono i battenti le prime fabbriche in Russia. Sempre più l’Accordeon e mantici affini diventano sinonimo di strumenti della musica popolare. In questo periodo lo strumento viene continuamente modificato, per migliorarne le capacità sonore. Viene ampliata la tastiera di destra (fino a 14 tasti su una sola fila, poi fino a 27 su due file) e, per eseguire brani melodici, si sostituiscono gli accordi completi con singole note. Viene aggiunta un’apposita valvola di presa d’aria; si aggiunge una cassettina sul lato sinistro con ulteriori ance, e relativi tasti, per produrre sia le note di basso sia gli accordi necessari ad accompagnare le melodie realizzate con la tastiera di destra. Molte di queste innovazioni tecniche sono da attribuire, oltre che allo stesso Demian, a costruttori francesi e tedeschi che, tra l’altro, estendono anche la gamma sonora dell’accordeon fino a tre ottave, prima nell’ambito della scala diatonica e poi di quella cromatica. Altra innovazione significativa riguarda il numero di ance (ugualmente intonate) messe in funzione da uno stesso tasto. Dal sistema di base, che prevedeva per ogni tasto una sola “voce” (ancia) a doppia azione (bitonica), si passa alle due e poi alle tre voci per tasto, intonate sulla stessa nota, anche in ottave diverse (voci bassa, normale e acuta), consentendo così l’introduzione dei “registri” (variatori di timbro sonoro).

Museo Internazionale della Fisarmonica (Castelfidardo)

In Italia questo strumento inizia a diffondersi verso la metà del XIX secolo e sono proprio i costruttori italiani che introducono l’ancia di tipo unitonico (che produce la stessa nota, indipendentemente dal movimento del mantice). Una leggenda narra di un pellegrino austriaco che di ritorno dal santuario di Loreto chiese ospitalità per la notte presso il casolare di Antonio Soprani, nelle campagne di Castelfidardo. Il pellegrino aveva con sé una “scatola musicale” che muove la curiosità di Paolo Soprani, figlio maggiore di Antonio. Il giovane Paolo scompone lo strumento, studia il funzionamento intuendone subito la possibilità di costruirne altri. Di lì a poco sarebbe nata l’industria italiana della Fisarmonica.  Da questo momento in poi, la fisarmonica diatonica (organetto) ha un nuovo “compagno”: la moderna fisarmonica cromatica, conosciuta semplicemente come fisarmonica, che si diffonde in tutta Europa e nel resto del mondo, grazie alla completezza delle sue capacità melodice e armoniche, ulteriormente migliorate grazie all’introduzione della tastiera melodica tipo pianoforte. La costruzione di organetti si espande a ritmo vertiginoso tra il 1870 e il 1900. Nel 1924, un primo censimento delle fabbriche di fisarmoniche e organetti ne individua in Italia ben 93 su un totale di 232 in tutta Europa. Oggi il numero dei costruttori italiani si è ridotto appena a una trentina, di cui solo una decina continua a produrre organetti.

Suonatrici di Trikitixa

Come ben sappiamo questo strumento è utilizzato in particolare nel Centro-Sud Italia, ma la fisarmonica diatonica e alcuni suoi derivati sono utilizzati in molti paesi come Francia, Svezia, Germania e in Spagna, soprattutto nei Paesi Baschi dove viene utilizzata un particolare tipo di fisarmonica diatonica (la trikitixa). In Louisiana (USA) viene utilizzata per suonare la musica cajun di origine francese; è parte integrante e fondamentale della tradizione musicale in Irlanda (anche se è organizzata su scale diatoniche). Una nota particolare va all’organetto diatonico brasiliano, utilizzato nella Música Popular Brasileira, che è praticamente identico a quello italiano. Si chiama “Gaita de botão” (bottone) oppure “Gaita-ponto” e alcune varianti presentano otto bassi.

Organetto

La nascita, l’evoluzione e la diffusione di questo strumento ci offrono spunti per rivalutare le nostre idee di “identità” e “tradizione”. Ritenuto infatti lo strumento tradizionale del Centro-Sud Italia, tuttavia l’organetto incorpora la cultura di tutti i luoghi che ha visitato: dalla Polonia a passo di Polka, fino ad arrivare oltralpe a tempo di valzer viennese. La nostra storia, fin dall’impero romano, ci insegna che ciò che noi vantiamo essere “tradizionale” e “autoctono”, ritenendo quindi pericoloso per la nostra identità nazionale tutto ciò che è “diverso”, in realtà non è altro che il risultato di integrazione e intreccio di culture apparentemente inconciliabili tra loro, dimostrando che, tutto sommato, la Ciociaria non è poi così lontana da Rio de Janeiro!

di Alessio Iannarilli

 

[…] Ecco infine i «ciociari!» Uomini e donne del paese dei sandali.  Vengono probabilmente da qualche villaggio vicino a Ferentino, forse da più lontano, dalle frontiere napoletane, dalle sponde del Liri o del Melfa.

E’ un paese di splendidi monti dall’aspetto selvaggio, che si stendono da Ferentino in su verso le province napoletane. Il popolo là porta le «ciocie», calzatura molto semplice che dà al paese il nome di «Ciociaria.» Trovai in uso questa calzatura anche prima di Anagni.

Impossibile concepire una calzatura più primitiva, e si può anche dire più comoda di quella: ed io ho sinceramente invidiato ai ciociari le loro ciocie.

Esse consistono in una semplice suola di cuoio di asino o di cavallo forata; si avvolgono intorno al piede e si fissano per mezzo di cordicelle passate attraverso ai buchi, in modo che il sandalo quasi lo fascia; la gamba poi è avviluppata sino al ginocchio da strisce di tela grigia.

Così calzato il ciociaro si muove liberamente nei campi e sui monti, dove zappa la terra o conduce a pascolare le sue pecore e le sue capre, vestito del suo bigio mantello, o di una pelle di montone, con la piva appesa al fianco. Si vede subito che quei sandali sono classici.

Diogene li avrebbe certo portati, se non fosse andato a piedi nudi, e Crisippo ed Epitetto li avrebbero potuti celebrare in un trattato sulla semplicità del saggio e sulla sua moderazione dei desideri. […]
di Ferdinand Gregorovius

  (da Passeggiate per l’italia Vol. I, Roma, Carboni Editore, 1906)

Comunicazione da parte del nostro Presidente: invito in una determinata città, per un dato evento.
Una volta verificata e confermata la disponibilità seguono le prove: balli, canti, scenette, sfilate.
Qualche giorno prima della partenza la costumista ci comunica i vestiti da indossare a seconda delle occasioni. Quindi prepari la valigia e controlli mille volte che hai messo tutto, soprattutto le ciocie: fondamentali.
Arriva il giorno tanto atteso; ci si incontra al solito posto: alcuni puntualissimi, altri in perenne ritardo.
E qui le situazioni che si prospettano sono diverse.

Se si viaggia con l’autobus ed è mattina proviamo a recuperare qualche minuto di sonno; se c’è Mirko invece,  ciò non è possibile perché vive con l’organetto “in spalla” ed è capace di suonare per tutto il viaggio anche quando questo è lungo, mooolto lungo!
Ricordo perfettamente la trasferta al Festival dei Trulli di Alberobello:

Siamo partiti alle 7 la mattina e quando siamo arrivati nel tardo pomeriggio, Mirko stava ancora suonando: e si può immaginare facilmente come abbiamo reagito.

Se si viaggia con l’autobus e partiamo di notte proviamo a dormire per affrontare la giornata successiva. Insomma queste situazioni non sono poi così diverse, pensandoci. Ma posso negare l’evidenza ed assicurarvi che non siamo dormiglioni!

Se invece dobbiamo partire con le nostre macchine, la situazione è diversa a seconda delle compagnie: con alcuni chiacchieri del più e del meno, con altri potresti azzardarti ad aprire un dibattito politico, con altri ascolti solo musica (anche l’organetto, sì) e con altri dormi. Ma no… sto scherzando… questo succede al ritorno.

Comunque, una volta arrivati a destinazione la prima cosa da fare è prendere il caffè e non importa se è tardi, se ci aspettano, se siamo sperduti sui monti: il caffè ha la priorità con ovvio borbottio del nostro Presidente….

Adesso inizia il bello: ci si deve cambiare. Di solito noi ragazze entriamo per prime, ci fanno credere che il motivo sia la “privacy”, in realtà lo sappiamo tutti che ci mettiamo più tempo; permettetemi di precisare che non è perché siamo lente ma perché il nostro vestito è composto da più pezzi e ci vuole il tempo che ci vuole. Come dimostra il fatto che alla fine, quando ci ri-cambiamo lo facciamo tutti insieme e noi comunque finiamo per ultime. Ma non è questo ciò di cui voglio parlare.

Una volta pronti ci immergiamo completamente nel folklore: le ragazze prendono le conche e i ragazzi le aspettano porgendo la mano, per formare la fila e iniziare lo spettacolo. Ci piace essere ordinati durante le sfilate e ci sono delle disposizioni precise, che possono variare a seconda del posto e del numero di persone; in generale seguiamo quest’ordine: Labaro, ragazze con i conconi, orchestra, coppie e l’immancabile coppia sotto l’ombrello. Balliamo, cantiamo, ci divertiamo, le persone sono contente e noi più di loro. Amiamo quello che facciamo e non ci interessa se poi ci faranno male i piedi, se abbiamo preso troppo freddo, se durante la giornata abbiamo litigato e ci sono state incomprensioni perché alla fine il risultato è sempre lo stesso: essere orgogliosi e soddisfatti di portare in giro per l’Italia ed il mondo il nome di Alatri e della Ciociaria, delle nostre tradizioni; camminare, come dico sempre, “ciocie ai piedi e testa alta”; sentirsi parte di una grande famiglia, stare a contatto con persone molto diverse da te che possono piacerti o no,  ma devi ammettere che ti lasciano qualcosa. Probabilmente questo è l’obiettivo che Aria di Casa Nostra persegue inconsciamente, al proprio interno: prima dello scambio con altre culture ed altre tradizioni, c’è lo scambio tra di noi e significa che ognuno lascia (e riceve) un pezzetto di sé ad (e da) ogni altro membro del gruppo.

Il momento che più mi coinvolge di ogni trasferta,  è il ritorno: sappiamo tutti che appena dalla curva spunta Alatri bisogna intonare l’inno, come da tradizione. E così si concludono queste fantastiche giornate, ancora con un momento di condivisione, di folklore, di passione e di orgoglio: Evviva Alatri, sei un vero incanto!

Carla Scarsella

Tra le molteplici tradizioni della Ciociaria quella che incarna maggiormente lo spirito passionale e spensierato della nostra terra è, senza dubbio, la serenata prima delle nozze.

Immaginate che mentre state provando l’acconciatura per il grande giorno, o facendo l’ultimo orlo al vestito, una voce in lontananza, accompagnata da un organetto, vi inviti ad affacciavi alla finestra. Ebbene si, è il vostro futuro sposo che vi sta dedicando una canzone d’amore.

La serenata prima delle nozze è un’usanza che ha origine nel Medioevo ma che ancora oggi è praticata nel Centro e Sud Italia, ritenuta in alcune zone patrimonio culturale indispensabile.

Se per la sposa il tutto si svolge in un tanto frenetico quanto emozionante momento, per lo sposo l’organizzazione dell’evento richiede una pianificazione attenta ed elaborata. Ma attenzione! La sposa non deve accorgersi di nulla.

Un ruolo fondamentale per la buona riuscita della sorpresa, lo svolgono parenti e amici. Lo sposo, giorni prima della serata prescelta, arruolerà i suoi migliori “soldati” per accompagnarlo in questa impresa: scegliere chi distrarrà la sposa e selezionare le migliori ugola della sua compagnia, sarà una fase imprescindibile della preparazione.

Ci siamo, è giunta l’ora!

Lo sposo e tutti i partecipanti si sono dati appuntamento a pochi passi dall’abitazione della fanciulla e, complici il buio e la notte, arrivano “frugni frugni” (Ndr. quatti quatti) sotto la finestra della sua camera.

“Alzati bella mia se ti sei coricata
sopra a sto letto mettiti a sedere,
Ascolta chi ti fa la serenata
qua sotto c’è un ragazzo che ti ama,
[…]
Qui sotto c’è un ragazzo che ti vuole sposare
se tu lo vuoi gettagli una rosa”

Momento di suspense, la musica si ferma, tutti tacciono: la ragazza getterà la rosa? Certo che si!

A questo punto l’innamorato (se abbastanza fortunato da non dover raggiungere l’ultimo piano di un grattacielo) arriverà dalla sua ragazza arrampicandosi su una scala a pioli. Ora sono gli amici a cantare:

“Oh mia *nomedellaragazza* oh che bellezza
col fiore hai dato a *nomedelragazzo* la certezza,
Con questa rosa che hai buttato alla finestra
hai fatto si felice l’innamorato.”

Ma…

“Noi non vogliamo più star qua fuori
Se ci fai entrare ti canteremo ancora
quattro stornelli e ti ringrazieremo,
E ti ringrazieremo per festeggiare ancora
per festeggiare insieme questo amore.”

Ed ora? ” Mica vulet lassa’ tutta sta gent senza magna’…” Tranquilli, la mamma ciociara è all’opera da giorni.

Abbiamo accolto favorevolmente l’invito ricevuto dal Gruppo Folk “Simón Otxandategi Dantza Taldea” di Berango (Spagna) in occasione delle celebrazioni per il loro 75° anno di attività.

Una nostra delegazione sarà presente dal 5 luglio nei Paesi Baschi e per l’occasione oltre a portare i saluti e gli auguri della nostra Amministrazione Comunale nella persona del Sindaco Ing. Giuseppe Morini, abbiamo formulato i nostri più fervidi auguri:

Un riconoscimento per la longevità della vostra attività è sicuramente doveroso!
Mantenere, arricchire, promuovere l’appartenenza ad un ensemble folclorico anche nel secondo millennio è certamente un esercizio che richiede impegno, costanza e tanta, tanta buona volontà!
E chi lo afferma, lo conferma a ragion veduta, in quanto anche il nostro gruppo fondato nel 1950, raggiungerà quest’anno i 68 anni di attività e quindi siamo nella vostra scia..!

La cultura della diffusione delle tradizioni popolari è parte integrante del patrimonio socio-culturale della comunità di appartenenza, il pregio e l’onore di valorizzarle  e soprattutto difenderle è fondamentale per la storia ed il vissuto della comunità stessa. I caratteri identitari debbono essere sempre riconosciuti al di là dei propri confini nazionali e il vostro impegno, testimoniato dalla celebrazione di questi 75 anni, ne sono una ampia e sicura testimonianza.

Il folklore stesso, che nella sua essenza più intima e vera è cultura popolare, storia ed arte insieme cristallizzate in forme e costumi popolari, rappresenta un momento niente affatto secondario nell’attività artistica e culturale delle genti. Le caratteristiche etniche, le peculiarità tradizionali, i costumi, le fonti primigenie dell’ispirazione popolare sono alla base del folklore e dei gruppi folkloristici che lo rappresentano e lo tramandano. Ed il vostro gruppo, che attinge il materiale per i suoi costumi, le sue danze ed i suoi canti nella più bella e genuina tradizione, è con la sua attività, un benemerito di questa nobilissima forma di arte e di spettacolo.

Il Gruppo Folk “Aria di Casa Nostra”

 

Chi non conosce la conca di rame, le ciocie di cuoio e le collane di corallo che sono gli elementi tipici e più caratteristici del folklore ciociaro? E chi non conosce la classica, proverbiale bellezza delle donne di Ciociaria? Il gruppo folkloristico di Alatri ne fornisce un esempio chiaro e significativo. Un gruppo che io stimo che ammiro, che amo. E intendiamoci non lo dico per il fascino emanante dalla perfezione dei lineamenti femminili che si riscontra tra le giovani e floride ragazze che lo costituiscono; ma lo amo per l’efficacia rappresentativa di una nobile tradizione, di vanto e di gloria, che in esso rivive e che esso felicemente continua.
In quanto alle ragazze… ebbene, esse sono veramente amabili perché sono semplicemente meravigliose, e tali “che te vie voja dc sposalle tutte”, per dirla con un verso appropriato e simpaticissimo dell’amico Gico, il noto arguto poeta romanesco.
Annamaria, Pina, Rosalba, Paola, Maria Pia, Liliana, Carla Luisa, Graziella; come si possono dimenticare queste belle figliole che portano attraverso l’Italia e all’estero il fascino e l’avvenenza della loro grazia e il ricordo e la conoscenza della nostra terra? Che portano in testa il fazzolettone con la maestosa baldanza di una corona imperiale? Che calzano le ciocie con la stessa orgogliosa
fierezza degli antichi ciociari, i fondatori di Roma? Che sfilano per le strade d’Europa, con armonioso incedere e vi ballano alla luce del sole, la tarantella e il saltarello con la stessa disinvoltura e con lo stesso impegno con cui ballerine e professioniste danzerebbero il twist o il madison sotto i riflettori delle telecamere in ripresa eurovisiva?
Belle, tutte belle queste figliuole del gruppo folkloristico di Alatri: occhi neri e profondi, viso roseo, sorriso schietto e smagliante, forme bene evidenti e ben proporzionate. Ad osservarle attentamente e singolarmente il pensiero corre, corre veloce… (non sorridano i maligni) fino a raggiungere il ricordo delle sembianze e dei costumi delle prosperose ed esuberanti donne ciociare, del secolo scorso, che il pittore Cesare Balbi volle immortalare nelle sue pregevoli tele.
E di quelle stesse donne queste ragazze di Alatri (e le ciociare in genere) conservano la vigorìa e la nobiltà dei lineamenti, la semplicità e la grazia dell’espressione femminile e di femminilità.
Ma alle loro doti fisiche (che Dio le benedica!) esse accoppiano anche i vantaggi della operosità: sono amanti del lavoro, in campo domestico, artigianale ed intellettuale. E in queste attività (che esplicano nella vita pratica quotidiana) non sono da considerarsi assolutamente inferiori rispetto alle loro piacevolissime esibizioni folcloristiche e canore, cui le ha educate, con paziente ed amorosa cura il Prof. Flavio Fiorletta, un eccezionale, appassionato studioso delle tradizioni popolari ciociare. Belle, dunque, e brave queste ragazze; tutte brave. Ma cosa diranno i baldi giovani (anch’essi bravi) che pure fanno parte dello stesso gruppo, ai quali non dedico almeno una parte di questo mio scritto? Pazienza. Provvederà qualche graziosa signorina, italiana o straniera; e ne saranno più lieti. Per loro, comunque, è già valido motivo di soddisfazione, di fierezza e di orgoglio, sapersi paesani o parenti delle brave e belle ragazze di Alatri.

Folklore, la cui parola è stata coniata nel 1846 da W.J.Thomas, stà ad indicare lo studio storico e comparativo delle tradizione e dell’arte popolare;
Il folklore, che nella sua essenza più intima e vera è cultura popolare, storia ed arte insieme cristallizzate in forme e costumi popolari, rappresenta un momento niente affatto secondario nell’attività artistica e culturale delle genti. Le caratteristiche etniche, le peculiarità tradizionali, i costumi, le fonti primigenie dell’ispirazione popolare sono alla base del folklore e dei gruppi folkloristici che lo rappresentano e lo tramandano.
Con questo primo articolo intendo inaugurare questa nuova sezione del rinnovato sito non potendo esimermi dal  rimarcare con lo scritto in corsivo, l’importanza delle nostre attività.
Ne approfitto inoltre per congratularmi con il nostro Alessio “Fox” Iannarilli per il lavoro svolto sin qui,  con il supporto immancabile ed instancabile della nostra Miriam “Zana” Minnucci!
Mi auguro che il nostro rinnovato web-site, rispetti le aspettative oltre che dei nostri associati anche di quanti possano usufruire dei contenuti in esso raccolti.
Nota : Ho scelto quest’immagine, in maniera inusuale, per quel che rappresenta:
l’amore che nutriamo per la nostra città (era l’infiorata per il Corpus Domini per le vie del centro storico); la gioia dello stare insieme (fondamentale l’affiatamento quando si vogliono raggiungere gli obbiettivi); il “lavoro” manuale ( e non solo il divertimento di stare su di un palco con le “ciocie” ai piedi) e per ultimo, ” la simpatia” che suscitiamo, perché siamo sempre con il sorriso sulle labbra!

Armando